Dpef per gli anni 2009-2013/Il sì del Partito repubblicano. Con qualche perplessità Occorre potenziare i controlli pubblici sulla spesa Discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013. Intervento del segretario del Pri Francesco Nucara, martedì 8 luglio 2008. Il Partito repubblicano voterà a favore del Documento di programmazione economico-finanziaria. Lo farà con convinzione, non nascondendosi, tuttavia, perplessità e riserve. La convinzione nasce dalla lunga storia del partito, da sempre attento ai temi della finanza pubblica e del suo equilibrio. Nella passata legislatura, pur dall'opposizione, abbiamo più volte invitato il Ministro pro tempore dell'economia ad andare avanti sulla strada del rigore, manifestandogli appoggio e simpatia. Se siamo rimasti delusi è solo perché alle parole non sono seguiti i fatti, in un continuo cedimento alle richieste massimalistiche di quella variopinta coalizione. A maggior ragione rinnoviamo l'invito nei confronti di Giulio Tremonti. Vada avanti, signor Ministro. Non abbia paura delle reazioni degli scontenti. Ci sono sempre stati nelle vicende politiche italiane. Ma la storia ha dimostrato quanto deboli fossero quelle preoccupazioni di fronte alle reali necessità del Paese. Per andare avanti, tuttavia, occorre uscire dall'emergenza. Il decreto-legge al nostro esame non può che essere un primo passo nella giusta direzione. L'aver anticipato la manovra triennale è importante, ma non può trasformarsi in una scorciatoia. Sulla sfondo c'è la necessità di riformare profondamente le procedure di bilancio e le regole che ne sorreggono l'approvazione. Non farlo significherebbe alterare profondamente i rapporti costituzionali che regolano il confronto tra Governo e Parlamento. Accettiamo, quindi, questa procedura sincopata. In base alla quale in meno di 30 giorni occorre approvare un provvedimento che ha la dimensione normativa che tutti conosciamo. In prospettiva non può essere questo lo standard che regola i rapporti tra il potere legislativo e quello esecutivo. Se così fosse non solo verrebbe meno ogni regola democratica, ma paradossalmente lo stesso Governo si troverebbe indebolito di fronte alla reazione di coloro che sono colpiti dai provvedimenti di rigore. Attenti, quindi, agli eccessi di semplificazione. La società italiana resta una società complessa. Richiede pertanto una governance adeguata, specie se si vuole portare avanti un processo di modernizzazione. La riserve nascono, invece, dalla qualità della manovra che speriamo possa essere corretta, nel corso dei prossimi anni. Oggi scontiamo, infatti, un quadro congiunturale particolarmente preoccupante. Segnato da una doppia crisi: interna, con il crollo dei consumi, ed internazionale, dove si sommano problemi reali - il maggior consumo dei paesi fino a ieri posti ai margini dello sviluppo - e pura speculazione. Speriamo che, a partire dal prossimo anno, il quadro possa rasserenarsi e quindi offrire anche all'economia italiana margini ulteriori. L'obiettivo è quello contenuto nel programma elettorale del Popolo delle libertà: una riduzione della pressione fiscale e maggiori investimenti nelle infrastrutture. Le tasse vanno abbassate per ridare competitività alle imprese italiane, riducendo il costo del lavoro, e garantendo un maggior potere di acquisto, specie da parte dei meno abbienti. Le infrastrutture vanno create per ridurre quel gap che ci divide - a partire dal Mezzogiorno - dal resto dell'Europa. Per farlo è necessario ridurre ulteriormente la spesa corrente. Obiettivo che il decreto-legge trascura notevolmente. Ma la via maestra per realizzare questo obiettivo non sono i tagli orizzontali sperimentati in passato. Occorrono invece regole nuove che consentano al Parlamento di controllare la qualità della spesa ed i programmi di intervento. Occorre, in altri termini, dare all'esperimento della spending review una torsione di carattere istituzionale che oggi manca. E su questo terreno impegnare il Parlamento che resta comunque l'organo della sovranità popolare. Operazione tanto più necessaria se alla ripresa autunnale si comincerà a parlare di federalismo. Questa carta può rappresentare un momento importante per la riforma dello Stato. Ma lo sarà solo se i nuovi assetti istituzionali faranno parte di un disegno più complessivo dove sia possibile coniugare libertà di scelta e responsabilità. Ma potremmo farlo se il bilancio centrale dello Stato resta quel documento oscuro ed inconcludente, ai fini di un giudizio sulle policy seguite? Se non riusciamo a controllare la qualità della spesa centrale, dove pure esistono competenze tecniche di gran lunga superiori a quelle locali, come potremo farlo per le Regioni, le Province ed i Comuni? Ecco allora che il federalismo, giusto in sé, assume un aspetto più problematico. Il Partito repubblicano, in passato, è stato sempre molto tiepido con le ipotesi di decentramento istituzionale. Temeva, cosa che si è puntualmente verificata, una forte lievitazione della spesa e controlli inadeguati. Dobbiamo evitare di ripetere quell'esperienza. Il che potrà avvenire solo se affronteremo nella sua interezza il problema dei controlli pubblici sulla spesa. Cambiando sia la struttura dello Stato centrale che le istituzioni locali. Questa è la via maestra che può consentire alle diverse parti del Paese di contribuire alla realizzazione di un unico disegno: fondato sulla ripresa del tasso di sviluppo. Che costituisce la precondizione per qualsiasi azione futura. E sviluppo significa, soprattutto, rilancio del Mezzogiorno dove esistono le risorse umane e gli spazi fisici necessari. Dobbiamo superare rapidamente la retorica degli anni passati: quando si parlava della centralità del problema. Ma, poi, alle parole non seguiva alcun fatto concreto. Il Mezzogiorno questa lezione l'ha capita. Ha capito, cioè, che lo sviluppo può essere solo figlio di un impegno diretto, in prima persona. Non teme quindi la discussione sul federalismo. Pone solo una condizione: che si abbia contezza della prospettiva. I nuovi assetti istituzionali del Paese non possono essere la risultante dell'afasia congiunturale, all'insegna del "prendi i soldi e scappa". Devono invece misurarsi con i passi lunghi della storia. Se questo sarà lo spirito, non mancherà un contributo originale, nell'interesse di quelle Terre, ma soprattutto dell'intero Paese. |